Foto scattata al Museo CosmoCaixa di barcellona |
Prima di poter scrivere qualsiasi altro articolo che riguarda l’evoluzione umana e dei primati, non si può non incominciare con due concetti fondamentali: la filogenesi(una leggera infarinatura per capire chi è imparentato con chi, e di chi stiamo parlando) ed i modelli evolutivi. Questo perché sarebbe troppo facile, e anche fuorviante, incominciare a parlare dei vari gruppi se non si parte dal principio, quindi capire chi discende/è imparentato con chi, dove vivono i vari gruppi e quando son vissuti. Naturalmente, dopo un'infarinatura "scimmiesca", vi parlerò in linea generale della Paleoantropologia e della Paleontologia Umana, quindi di cosa ci si occupa e del come.
Origine dei primati
Naturalmente, come ben sapete, la paleontologia si basa sullo studio delle somiglianze, della presenza/assenza di caratteri morfologici che hanno permesso di capire quando un determinato gruppo è comparso o scomparso, e in quale range temporale è vissuto. Tra i 145 e i 65 milioni di anni fa circa, i mammiferi erano già presenti in quanto sono comparsi nel Triassico inferiore(251-245 milioni di anni fa circa), convivevano con i dinosauri e discendevano (e discendiamo!) da un gruppo di organismi amnioti, i sinapsidi(molto probabilmente dai Cynodonti), dominanti dalla metà alla fine del periodo Permiano(299-251 milioni di anni fa circa), con alcuni rappresentanti che vissero anche nel Triassico). 90 milioni di anni fa circa, comparvero quelli che sono conosciuti come proto-primati, un gruppo che non possiede qualità morfologiche tali da distinguersi maggiormente dagli altri gruppi che vissero nel Mesozoico, ma già qui abbiamo un indizio veramente importante: i mammiferi erano già diversificati in placentati, i multitubercolati(estinti nell’Oligocene), marsupiali e monotremi.
In particolare, dopo la grande estinzione di massa avvenuta tra il Cretacico e il Paleocene 65 milioni di anni fa circa, i placentati incominciarono a diversificarsi in 4 grandi gruppi occupando in tempi relativamente brevi, geologicamente parlando, la maggior parte delle nicchie lasciate libere dopo la grande estinzione(un classico esempio di radiazione adattativa): xenarthra(armadilli, bradipi, formichieri); afrotheria(oritteropi, sirenidi, proboscidati); laurasiatheria( equidi, rinoceronti); euarchontoglires(Supraprimates, che comprende primati, roditori, lagomorfi).
I primati, quindi, sono un ordine di mammiferi molto importante, sia per il numero che per la varietà tassonomica, con una distribuzione varia e particolare:
-In America centrale e in buona parte del Sud America troviamo le “scimmie del nuovo mondo”;
-In Africa ed in Asia troviamo le “scimmie del vecchio mondo”(escludendo Homo sapiens che vive in ogni continente).
I biomi principali si trovano principalmente nella foresta tropicale in cui si trovano la maggior parte delle specie arboricole(la maggior parte dei primati), o nella savana.
La classica classificazione divideva i primati in scimmie e proscimmie, basata sulla presenza o assenza della chiusura retro-orbitaria(assente nelle proscimmie).
La classificazione attuale, chiamata classificazione cladistica, prende in considerazione la presenza o assenza di un particolare carattere fisiologico del naso: il rhinarium. E’ una zona umida, glabra posta attorno alle narici di molti mammiferi, e per quanto riguarda i primati le Stepsirrhine possiedono un naso bagnato e corto(un elemento arcaico che indica come come sia ancora importante e dominante l’olfatto per questo gruppo. Infatti, la loro vista non è molto sviluppata come nelle Haplorrhine).
Il gruppo che più ha risentito di questo cambiamento di classificazione è quello dei tarsi, in quanto non è presente una chiusura retro-orbitaria tipica delle “proscimmie”, ma viene considerato appartenente al gruppo delle Haplorrhine.
Classificazione dei primati |
Caratteristiche (molto) approssimative di un primate
I primati, le australopitecine, Homo sapiens ed altri ominini vicini a noi, possiedono sostanzialmente alcune caratteristiche peculiari che non si riscontrano in altri mammiferi:
-Presentano caratteristiche primitive (nel senso che sono comparse prima a livello temporale rispetto a morfologie comparse in tempi successivi), quindi sono poco specializzati. Questa peculiarità, se ci pensate, permette loro (e qualsiasi organismo non specializzato) di sopravvivere maggiormente in quanto, un organismo specializzato, è destinato ad estinguersi quando l’habitat per cui è specializzato scompare. Uno meno specializzato, in situazioni del genere, ha qualche possibilità in più di sopravvivere;
-Le clavicole svolgono un ruolo importante per il movimento degli arti anteriori;
-Si sviluppa la mano, che permette di interagire sia con i co-specifici che con l’ambiente circostante e, tranne per le proscimmie, gli artigli scompaiono e si sviluppano unghie piatte che garantiscono una certa manualità, grazie soprattutto allo sviluppo del pollice opponibile;
-La dentatura non è specializzata, ed una delle tendenze evolutive sarà quella della diminuzione del numero dei denti;
-Diminuzione della densità della pelliccia e riduzione di peli specializzati(come le vibrisse, che nell’uomo sono formazioni pilifere all’interno del naso). Piccolo appunto: Homo sapiens non è privo di pelliccia, ma il numero di peli che ricoprono il nostro corpo non è così lontano da quelli di un altro primate, semplicemente la densità è diminuita in modo sostanziale;
-Riduzione dell’apparato olfattivo, tranne per le "proscimmie";
-Incremento degli organi visivi(tranne per le "proscimmie" che vedono in bianco e nero) che permette una visione tridimensionale dell’ambiente circostante che va di pari passi con la riduzione dell’apparato olfattivo. Diciamo che buona parte dei primati non esplora più il mondo con i gli odori ma con la vista.
STEPSIRRHINAE
In linea generale indichiamo come Stepsirrhinae quei primati che:
-Danno alla luce numerosi piccoli per volta;
-Giungono allo stadio adulto più velocemente;
-Possiedono un utero bifido o bicorne;
-Che non possiedono una separazione ossea tra orbita e fossa temporale;
-Il volto è allungato e non schiacciato, la formula dentaria è 2:1:3:3 e gli occhi sono relativamente ravvicinati;
-Sono per la maggior parte attivi di notte e possiedono grandi occhi, come sono sviluppati anche gli arti superiori che risultano essere più sviluppati e lunghi di quelli inferiori.
Appartengono a questo gruppo i lemuri e i loris.
HAPLORRHINAE– si dividono in platarrhinae e catarrhinae(che a sua volta si divide in cercopitecine e ominoidea
Questo è un gruppo più ampio che presenta caratteristiche decisamente già diverse dal gruppo precedente:
-L’apparato olfattivo è ridotto, infatti il rhinarium è assente;
-Gli occhi sono molto sviluppati, e le orbite sono separate dalle fosse orbitali grazie alla chiusura retro-orbitaria(sono presenti ampi setti ossei);
-La formula dentaria è variabile con la riduzione o scomparsa di alcuni denti;
-Sono molto abili nell’afferrare;
-Lo sviluppo è molto lento e l’età della maturità sessuale non è precoce.
Troviamo all’interno di questo gruppo i tarsi, le Platyrrhinae(come i cebidi), le Catarrhinae composta da Circopithecoidea(es. mandrilli e babbuini) e Hominoidea(oranghi, gorilla, uomo, ecc.).
MODELLI EVOLUTIVI
Per poter analizzare più avanti nello specifico ciò che riguarda l’evoluzione umana, dobbiamo innanzitutto capire che tipo di relazione filogenetica c’è fra Homo sapiens e le altre scimmie antropomorfe. Sappiamo benissimo che Homo sapiens e Pan(bonobo, scimpanzé) possiedono un antenato comune e un’affinità genetica del 98% circa, a loro volta questi due gruppi possiedono un antenato comune con i gorilla, e a loro volta questi tre gruppo ne possiedono uno con l’orango. La sistematica non è sempre stata questa in quanto, per mancanza di dati paleontologici, si riteneva che gorilla e scimpanzé condividessero un antenato comune, con Homo sapiens che veniva considerato più distante dal punto sistematico, infatti nella famiglia Pongidae venivano raggruppati oranghi, gorilla, scimpanzé, mentre in una famiglia a parte(Hominidae) l’uomo.
Ma quando è avvenuta la divergenza tra uomo e scimpanzé? L’antenato comune risale a circa 7-9 milioni di anni fa.
Ominide? E' più corretto 'ominine' (o 'ominino'. Per la fonte, clicca qui)
Ominide è un termine molto conosciuto, che in generale indica nel linguaggio comune primati estinti vicini ad Homo sapiens, mentre da un punto di vista scientifico indica (o indicava) la famiglia 'hominidae' che comprende uomo, orango, scimpanzé e gorilla.
Modelli di evoluzione umana
Questo è un piccolo assaggio di un argomento che ha bisogno di essere trattato in un articolo a parte, quindi faccio una breve sintesi. Ogni volta che viene trovato il fossile di una specie, lo stesso scombussolerà un po’ la visione d’insieme dei vari ritrovamenti, soprattutto perché la maggior parte delle volte sono soltanto pochi i resti ad essere rinvenuti e che ci dicono poco o niente sull’eventuale parentela con le altre pecie trovate precedentemente, quindi si utilizzano parametri spesso complessi per poter collocare spazialmente, filogeneticamente e temporalmente le varie specie. Per esempio, il ritrovamento di Homo erectus ha permesso di capire che il genere Homo è comparso più di 1 milione di anni fa. L’aumento del numero delle specie ed una maggiore profondità temporale, non permette di avere una visione lineare, di successione delle varie specie proprio perché più vengono scoperte, e più capiamo che molte di esse condividevano addirittura gli stessi habitat, e non solo il periodo temporale.
Per questo, una visione “a cespuglio” è quella più indicata per rappresentare la complessa relazione tra i vari ominini attraverso questo tipo di grafico (fonte Wikipedia):
La ricostruzione, come quella nell'immagine, è l'unica che giustifica una posizione a sinistra o destra della nostra specie in un grafico (in questo caso in basso). Questo perché in paleontologia si utilizzano campioni di riferimento per capire quale carattere è presente/assente in un dato gruppo, che permette di descrivere una sorta di affinità morfologica che delinea la distanza tra varie specie, o gruppi. Homo sapiens è l'unica specie del genere Homo ancora in vita, pertanto risulta essere il campione di riferimento che ci permette di dire quanto morfologicamente è distante una specie affine alla nostra. Il risultato è un grafico che indica la comparsa/scomparsa delle varie specie, basata sui ritrovamenti fossili, e le possibili relazioni e legami tra i vari gruppi. Inoltre, risolve una questione annosa per molti gruppi, come per Homo naledi che non sappiamo ancora a chi sia più affine, ma lo collochiamo in una data posizione proprio in base ai caratteri analizzati. Non è una ricostruzione filogenetica, ma in questo modo capiamo chi è, più o meno, la specie più vicina ad un'altra senza necessariamente collegarle con una freccia o linea.Introduzione alla Paleoantropologia e/o Paleontologia Umana: metodi ed analisi
Vi vedo che state andando in confusione, ma ho voluto fare questo scherzetto in quanto questa disciplina, come in generale la Paleontologia, gode della multidisciplinarietà. Che significa? Esistono svariate figure che compiono lavori diversi ma affini come il geologo, il paleontologo in senso stretto, l'archeologo che si occupa di studiare i reperti litici, il (paleo)genetista, l'antropologo fisico ecc. Sostanzialmente, con "paleoantropologo" si indica una figura che prende in considerazioni, per i suoi studi, sia i reperti fossili che litici, e sostanzialmente ha una visuale più ecologica e comportamentale; un paleontologo umano, invece, è colui che si occupa prevalentemente dei fossili, quindi della parte anatomica e biologica. Ma la differenza non è importante, volevo fare questo piccolo appunto giusto per rompervi le scatole..
Quindi, la paleoantropologia, è quel ramo scientifico che si occupa dell'evoluzione umana in quanto ci aiuta a capire "chi è imparentato con chi", quali erano le caratteristiche morfologiche che caratterizzavano un dato gruppo, capire la vita e le abitudini di questi gruppi e il loro legame con l'ambiente e le altre specie, come e dove è migrato un dato gruppo, ecc. Insomma, quest'ambito ci può fornire un sacco di informazioni sul passato e, come accade studiando altri gruppi di organismi, riusciamo a dare una sbirciata nel passato per capire come l'ambiente è cambiato (e come potrebbe cambiare in futuro).
Il problema, a differenza di altri gruppi (come i dinosauri), è che le ossa scarseggiano e questo rende difficoltoso studiare l'evoluzione umana, questo perché
-perdiamo qualche dato per strada visto che non tutto si fossilizza;
-non riusciamo a stabilire relazioni filogenetiche/parentali con precisione, soprattutto per in gruppi di cui possediamo pochi elementi;
-questo deficit aumenta con l'aumentare del tempo. Quindi, avremo molte informazioni che riguardano il passato "recente", mentre per quanto riguarda periodi temporali più lunghi abbiamo sempre meno informazioni. Questo vale per qualsiasi organismo fossile, ma i primati hanno sempre avuto il brutto vizio di riprodursi poco (meno individui ci sono, e meno possibilità ci sono che qualcuno, o parte di esso, si fossilizzi), e di vivere in contesti poco consoni alla fossilizzazione (come le foreste). Insomma, si fa quel che si può con quello che si ha.
Cerchiamo di fare una carrellata "rapida" sulle varie tipologie di analisi.
Metodi qualitativi. E' un'analisi classica nella quale si descrive una componente morfologica senza ricorrere a formule o a numeri ma alla sola 'anatomia comparata'. Si comparano, infatti, diverse morfologie tra i vari gruppi, e si descrivono in base a ciò che il ricercatore riesce a "vedere". Ma questo metodo è soggettivo, infatti possono esserci diversi punti di vista in base a ciò che si vede, e a come si descrive un reperto. Per esempio, vengono utilizzati termini e/o aggettivi che accompagnano la descrizione dell'osso, per esempio "il cranio di una data specie risulta essere più carenato rispetto all'altro", "data morfologia è leggermente spostata lingualmente", "possiede un marcato toro occipitale", e così via. Insomma, si crea un po' di confusione in quanto la morfologia risulta essere interpretabile in diversi modi. Un esempio pratico riguarda proprio la specie Homo erectus in quanto esistono ricercatori che identificano due gruppi diversi all'interno di questa specie: Homo ergaster per i fossili africani, e H. erectus per i fossili asiatici. Esistono delle differenze anatomiche, ma altri autori concordano che si tratta solamente di variabilità morfologica della sola specie H. erectus, ma tutt'ora rimane una questione irrisolta (e che non vogliono che si risolva).
Metodi quantitativi. Qui vengono usate le misurazioni classiche, come per esempio lunghezza e larghezza di un dato osso o dente, ma quantificare alcune componenti anatomiche (come il cranio) non è affatto semplice, e non darà mai un risultato esaustivo. Infatti, qualche dato o dettaglio sfuggirà sempre in quanto non è possibile quantificare per esempio "ossa incurvate", o qualsiasi componente non lineare. Facciamo qualche esempio con il cranio:
-in passato sono stati usati particolari goniometri (mandibolari e facciali) in grado di misurare l'angolo fra il ramo ascendente e il corpo mandibolare, oppure il grado di prognatismo della mascella. Questo non è possibile farlo con tutti i crani in quanto può esserci variabilità anche all'interno della popolazione. Di conseguenza, anche misurare la larghezza del cranio con 'compassi a branche curve'(o anche dritte), non è proprio il massimo;
-esisteva un particolare strumento chiamato 'cranioforo di Mollison', che aveva come compito quello di posizionare il cranio secondo alcuni parametri spaziali rispetto a determinati piani morfometrici, come per esempio il 'piano di Francoforte' (questo piano è parallelo al terreno, e passa tra il punto più alto del foro uditivo esterno e il margine inferiore dell'orbita). Inutile dire che bisogna avere punti di riferimento ben precisi e che gli stessi possono variare da cranio a cranio.
Metodi semi-quantitativi. Diciamo che è una via di mezzo tra i metodi appena visti, infatti si parte da una descrizione morfologica del reperto, e si quantifica successivamente secondo "valutazioni discontinue", utilizzando magari dei numeri (o meglio, un punteggio), con lo scopo di quantificare una data morfologia. Per esempio, in una scala da 0 a 4 possiamo indicare con 0 l'assenza di una data morfologia, con 1 una morfologia "lievemente" accennata fino ad arrivare a morfologie più marcate, o vistose. Insomma, questo metodo è abbastanza soggettivo in parte.
Analisi fenetica. Si analizzano differenze a livello fenotipico senza tenere conto la storia evolutiva. Si fa un'analisi per "somiglianza", mettiamola così.
Cladistica. Questo è un metodo molto usato in paleontologia in quanto si considera, a differenza dell'analisi fenetica, la storia evolutiva, quindi si fanno sempre analisi basate sulla "somiglianza", tenendo conto però anche del tempo, e quali caratteri si sono originati prima (primitivi) e quali successivamente (derivati). Ne ho parlato nel dettaglio qui.
Oltre a questi metodi 'classici', negli ultimi decenni si stanno facendo passi da gigante per quanto riguarda lo studio dei fossili:
-l'antropologia virtuale (o paleontologia virtuale). Un metodo che permette di ricostruire in 3D un reperto, consci del fatto che si possono eliminare deformazioni tafonomiche e recuperare la forma "originaria" (la tafonomia studia tutti i processi che avvengono prima e durante la fossilizzazione. Ne ho parlato qui), oppure studiare morfologie che sono difficili da 'interpretare' ad occhio nudo (TAC);
-la morfometria geometrica. E' un'analisi quantitativa, ed è diversa dall'analisi che abbiamo visto prima in quanto non tutti gli oggetti possono possedere misure lineari (quindi quantificabili). Quindi , da cosa differisce dal 'vecchio' metodo? Si prendono in considerazioni punti ben precisi, non si tengono conto delle distanze ma dei cosiddeti "landmarks spaziali" (tri o bidimensionali). Per farla breve, ogni reperto sarà dotato di coordinate (X, Y o Z) in un piano cartesiano.
Vediamo brevemente alcuni passaggi:
1) Acquisizione landmarks grazie a svariati software che registrano la posizione 'spaziale' dell'oggetto;
2)"Remove non-shape variation", dove si riescono a vedere tutti i punti registrati. Si rimuove la componente dimensionale, così da ricavare la "forma" dell'oggetto. Successivamente, la matrice che si ottiene vinene analizzata a livello statistico;
3)Infine si ottiene un'analisi 'multivariata', dove le 'forme' viste precedentemente ci indicano dove e come sono diverse, o dove 'combaciano' (dove sono simili). E' un confronto, sostanzialmente, tra le varie forme.
Diverse forme di crani appartenenti alla specie Homo neanderthalensis. Museo di Antropologia di BolognaMetodi di datazione
Stavo per scrivere un'altra decina di pagine, ricordandomi però di aver già parlato in parte dei metodi di datazione (trovate il link qui). In questo paragrafo, tratterò brevemente di alcune tecniche non trattate in precedenza.
Paleomagnetismo. Non è un vero e proprio metodo di datazione, ma ci permette di avere un 'quadro temporale' dei depositi e dei resti fossili. Si studia il campo magnetico del passato nei depositi terrestri, e di conseguenza si avrà una suddivisione in 'croni' (periodi) a diverse polarità, relativi agli ultimi 5 milioni di anni:
-Gauss (polarità normale). Il range temporale è di circa 2.588-3.590 milioni di anni fa;
-Matuyama (polarità inversa). Il range temporale è di circa 0,781-2.588 milioni di anni fa;
-Brunhes (il più recente). Segna il limite del Pleistocene medio ed inizia 780 mila annif a circa.
MIS (marine isotope stages). Anche questo non è un vero e proprio metodo di datazione in quanto consente di ricostruire, perlopiù, contesti paleoambientali. Si fa riferimento agli stadi isotopici e ci permette di capire l'andamento dei periodi caldi e freddi del passato grazie agli isotopi 16 e 18 dell'ossigeno. Sostanzialmente, l'isotopo 16-O, il più leggero, evapora più facilmente in acque calde e di conseguenza, a livello proporzionale, avremo meno 16-O rispetto a 18-O (più pesante)
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