domenica 11 giugno 2023

𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙛𝙡𝙤𝙧𝙚𝙨𝙞𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, una specie insulare del sud-est asiatico (700-000 anni fa circa (?) - 60-50.000 anni fa circa)


Tra le specie umane, Homo floresiensis è una delle più affascinanti, in quanto si tratta del primo ominino insulare appartenente al genere Homo. Questa specie venne scoperta nel 2003 sull'isola di Flores, un'isola dell'arcipelago indonesiano. Per la precisione, i primi resti furono rinvenuti nella grotta di Liang Bua: si tratta chiaramente di resti umani, come indica anche uno scheletro parziale composto da bacino, cranio e arto inferiore.


                                                          Grotta di Liang Bua


Tutti questi resti sono accomunati da una caratteristica comune, cioè appartenevano a individui di bassa statura, tanto che vennero soprannominati 'Hobbit', in onore dei piccoli personaggi della Terra di Mezzo. Infatti, i resti del primo individuo studiato indicano che quest'ultimo era alto circa 1 metro e visse tra i 195.000 e i 60.000 anni fa. Si tratta della prima specie insulare umana scoperta in assoluto, anche se nel 2019 è stata pubblicata la prima ricerca relativa a un'altra specie insulare denominata Homo luzonensis, vissuta nelle Filippine circa 67.000 anni fa. Il nanismo insulare ha caratterizzato molte specie umane, come Homo naledi, anche se quest'ultima visse in un contesto continentale. Sostanzialmente, nel corso del tempo, sono stati selezionati individui di piccola statura, adattati a un contesto nel quale le risorse erano limitate. H. floresiensis, a livello cronologico, visse nel periodo di maggiore diversità del genere Homo; infatti, almeno 100.000 anni fa, era presente Homo neanderthalensis in Asia occidentale ed Europa, i denisoviani a Denisova, Homo naledi in Sudafrica, Homo erectus in Asia, e i primi Homo sapiens in Africa.

Tuttavia, la scoperta di una nuova specie non fu immediata, poiché l'individuo analizzato venne inizialmente considerato affetto da microcefalia, una condizione patologica caratterizzata da una riduzione del volume del cervello. Alla fine, il 22 ottobre 2004, la rivista Nature pubblicò la scoperta di questa specie.

Quali sono le caratteristiche principali di questa specie? In primis, la capacità cranica è quella che salta subito all'occhio, in quanto molto ridotta, circa 380 cc, inferiore sia a quella di un gorilla che di uno scimpanzé. Infatti, è proprio questa caratteristica che inizialmente non permise di attribuire questi resti a una nuova specie, poiché i primi studi datavano i resti del primo individuo a circa 18.000 anni. Tuttavia, successivamente sono stati studiati meglio e datati a circa 50.000-60.000 anni. Ricerche successive hanno ampliato il probabile range temporale in cui visse questa specie: infatti, alcuni resti vennero datati a circa 700.000 anni, attribuendoli al probabile antenato di questa specie insulare, escludendo quindi una discendenza da H. sapiens.


                                                Scheletro di H. floresiensisù

Il fatto che H. floresiensis abbia abitato l'isola di Flores è molto importante perché ci fornisce informazioni sulla distribuzione delle specie umane sul pianeta e, soprattutto, sulle terre emerse in quel periodo. Le fluttuazioni climatiche e del livello del mare consentivano, con l'abbassamento della massa acquatica, di mettere in comunicazione terre precedentemente isolate (come le isole stesse), permettendo il passaggio di flora e fauna in nuovi ambienti. Le masse continentali più importanti erano: Sunda (che include Borneo e Indonesia) e Sahul (Nuova Guinea e Australia).


                             Posizione geografica dell'isola di Flores (Fonte: Wikipedia)


L'isola di Flores era probabilmente collegata alla piattaforma di Sunda, dove, nei periodi freddi, gli antenati di H. floresiensis riuscivano a spostarsi da un'isola all'altra. Nei periodi caldi, invece, i passaggi venivano bloccati o eliminati, intrappolando questi antenati sull'isola di Flores. Gli scavi svolti nel sito del Pleistocene medio di Mata Menge, nel bacino di So'a al centro dell'isola, hanno restituito diversi risultati interessanti sulla specie. L'età del sito, dove nel 2014 sono stati ritrovati alcuni resti fossili, è stata determinata dallo strato di arenaria fluviale depositato in un piccolo corso d'acqua della valle circa 700.000 anni fa. Le tecniche di datazione, come quella 40Ar/39Ar e quella basata sui depositi di cenere vulcanica, insieme alla datazione ricavata dai denti fossili, hanno fornito molte informazioni interessanti. Ad esempio, il bacino di So'a era caratterizzato da un clima relativamente secco durante la prima metà del Pleistocene medio, e i primi ominini della zona abitavano praterie aperte simili alla savana, caratterizzate anche dalla presenza di paludi. Inoltre, assieme ai 'nuovi' resti ossei, sono stati trovati strumenti litici sorprendentemente simili a quelli attribuiti a H. floresiensis del tardo Pleistocene.

Gli scavi degli anni '90 ripresero quelli avvenuti negli anni '60, durante i quali furono scoperti i resti di uno scheletro parziale (LB 1), comprendente ossa fossili sia craniali che postcraniali. Grazie a questo scheletro parziale è stato possibile stimare l'altezza dell'individuo, evidenziando che questa specie raggiungeva a malapena il metro di altezza (la capacità cranica era di circa 380 cm³). Queste 'piccole dimensioni' sono state spiegate attraverso due interpretazioni ben distinte (una delle quali accettata, mentre l'altra è stata completamente abbandonata):

  1. Il nanismo insulare, un processo di 'miniaturizzazione' che, sulle isole, porta individui di specie generalmente di grandi dimensioni a diventare più piccoli, e viceversa per specie di dimensioni ridotte. Un esempio simile si trova in Italia con gli elefanti nani siciliani. Questo cambiamento è interpretato come un adattamento a un contesto privo di forti pressioni selettive legate ai predatori: o sono pochi, o sono anch'essi di dimensioni ridotte, o non sono presenti. Un altro esempio italiano è Oreopithecus bambolii, un lontano cugino trovato sia in Sardegna che in Toscana, un binario evolutivo morto che non ha lasciato discendenze e che viveva in contesti insulari. Grazie all'assenza di predatori, non aveva bisogno di muoversi sugli alberi, ma preferiva, per buona parte della giornata, una locomozione bipede a terra, sebbene in modo goffo, che in un contesto fortemente selettivo sarebbe stato uno svantaggio. Anche le faune associate subirono processi di 'miniaturizzazione', analoghi al nanismo. Alcuni di questi animali sono, ad esempio, il varano di Komodo o elefanti appartenenti al genere Stegodon (S. florensis e S. sondarari).

  2. La microcefalia. Questa supposizione potrebbe sembrare ironica alla luce delle attuali conoscenze paleoantropologiche, ma è giusto menzionarla poiché non è affatto banale. La riduzione del cranio sarebbe stata legata a questa patologia, mentre il corpo di piccole dimensioni sarebbe stato associato a un adattamento ad ambienti tropicali. Vennero presi in considerazione i Pigmei proprio perché giustificavano i resti ossei rinvenuti sull'isola di Flores (sono in genere più bassi di 150 cm). Tuttavia, nel caso dei Pigmei, non esiste alcun collegamento con la capacità cranica, poiché in queste popolazioni lo sviluppo corporeo si arresta dopo che il cervello ha completato la crescita (tra i 6 e i 12 anni di vita).


                                        Immagine riassuntiva sulla microcefalia

La teoria dei Pigmei e della microcefalia è perdurata per anni, portando addirittura alla suddivisione di queste popolazioni in 'forme pigmoidi', tipiche delle zone del sud-est asiatico. Tuttavia, uno studio anatomico approfondito ha posto fine a questo dibattito, evidenziando differenze non solo nel cranio ma anche nel resto del corpo, come ad esempio il piede sproporzionato rispetto al corpo. L'andatura risultava bipede, ma priva della capacità di correre, una caratteristica che è stata fondamentale per la sopravvivenza del nostro genere negli ultimi 2 milioni di anni. La capacità cranica costituisce un punto di discussione tra i ricercatori, non solo per valutare l'intelligenza (anche se questa correlazione non è diretta), ma anche per stabilire la parentela con gli altri ominini. Sembra che H. floresiensis possa essersi originata da popolazioni di H. erectus o addirittura da popolazioni più arcaiche. Attualmente, questa è l'ipotesi più accreditata, considerando che H. erectus è sopravvissuto per più di un milione di anni, popolando sia l'Asia che il sud-est asiatico. Tuttavia, sorgono alcune problematiche:

  • La riduzione della capacità cranica sembra essere molto elevata, approssimativamente di un terzo, presentando incongruenze sia a livello metabolico che temporale;

  • Alcuni sostengono che H. floresiensis potrebbe essersi originato da una popolazione che colonizzò le isole del sud-est asiatico ben prima di H. erectus, come indicato dal range temporale di circa 700.000 anni fa, precedentemente menzionato.

                                                  Altro cranio di H. floresiensis

Una ricerca del 2006 cerca di gettare luce sulla situazione, collegandosi al discorso precedentemente affrontato. Gli autori, oltre a ipotizzare una discendenza da H. erectus asiatico, notano la combinazione di una capacità cranica ridotta, simile a quella di Homo habilis. Quest'ultima specie, pur appartenendo al genere Homo, presenta molte caratteristiche tipiche delle australopitecine. Pertanto, gli studiosi ipotizzano che H. floresiensis possa discendere da una popolazione, ancora non documentata, di ominini che si spostò dall'Africa all'Asia orientale circa 2 milioni di anni fa.

Nello studio, vengono analizzati fossili risalenti a circa 700.000 anni fa, scavati nel 2014 dal sito del Pleistocene medio di Mata Menge, al centro di Flores. I fossili, tra cui denti e mandibole, risultano essere i più antichi associati a questo lignaggio. Ecco cosa rivela la ricerca:

  • I denti e la mandibola di Mata Menge sono simili, in termini morfologici e dimensionali, a quelli di H. floresiensis di Liang Bua.
  • Il primo molare, in particolare, conserva una condizione primitiva.
  • I denti e la mandibola di Mata Menge sono ancora più piccoli di quelli di Liang Bua.
  • Le morfologie dei resti di Mata Menge suggeriscono che questi individui siano simili a H. habilis o al genere Australopithecus, indicando che filogeneticamente non è da escludere una discendenza da prime popolazioni di H. erectus asiatiche, e non da quelle più derivate.

Tuttavia, questi risultati non spiegano completamente la precoce "miniaturizzazione", poiché le antiche popolazioni di H. erectus sembrano non aver avuto una corporatura così ridotta.

Dal punto di vista culturale, sono stati associati a questa specie nuclei da cui sono state estrapolate schegge, indicando un certo grado di intenzionalità e capacità manuale. La capacità cranica non sembra essere vincolante per la realizzazione di utensili avanzati, come dimostrato anche da ritrovamenti nel bacino di Soa, datati tra 840.000 e 700.000 anni fa, simili a quelli di Liang Bua, datati tra 95.000 e 74.000 anni fa. La somiglianza culturale e il divario temporale tra i due siti suggeriscono che la produzione litica di H. floresiensis non sia stata influenzata da quella di H. sapiens.

In termini di estinzione, si ipotizza che possa essere correlata all'arrivo di popolazioni di H. sapiens nel sud-est asiatico, seguito dalla loro diffusione verso l'Australia. Questo potrebbe aver portato a una competizione più o meno diretta tra le due specie.




Utensili rinvenuti nelle vicinanze di uno scheletro di Rhinoceros philippinensis




Un po' di...anatomia su H. floresiensis

Sommario delle caratteristiche anatomiche di Homo floresiensis:

  1. Encefalo: Simile a quello di Homo sapiens non affetto da microcefalia, con un lobo frontale sviluppato legato alle capacità cognitive. Non tutti i tratti cerebrali sono simili a quelli della specie umana, ma più simili a quelli ipotetici di un ominino di piccole dimensioni.


  2. Pelvi: Moderna e simile a quella di Homo erectus. In particolare, la pelvi di LB1 (il primo reperto trovato nella grotta di Liang Bua) potrebbe appartenere a un individuo maschile.


  3. Arti superiori: Presentano un angolo di rotazione minore della testa dell'omero rispetto a quello dell'uomo moderno, ma più simile a quello di Homo erectus.


  4. Polso: Le tre ossa del polso dell'olotipo indicano una condizione primitiva, tipica delle specie ominine africane.


  5. Arti inferiori e piede: I piedi sono lunghi in rapporto agli arti inferiori, con proporzioni simili a quelli delle antropomorfe africane, risultando quindi relativamente arcaici. Il piede è piatto, non arcuato come quello dell'uomo moderno, indicando la bipedalità ma con una capacità di corsa simile a Homo habilis. Il metatarso è robusto come quello di Homo sapiens, e l'alluce è completamente addotto.

Queste caratteristiche anatomiche forniscono un quadro complesso e intrigante della biologia di H. floresiensis, evidenziando tratti primitivi e moderni che lo distinguono da altre specie del genere Homo.



                                         Fonte: Wikimedia commons


Mandibola. E' relativamente più robusta rispetto a quella degli ominini moderni, come l'uomo o gli scimpanzé, e mostra somiglianze con quelle di Paranthropus robustus e Australopithecus africanus, specialmente per quanto riguarda la rigidità nella flessione trasversale e nella torsione. Non può essere classificata come una mandibola "ridotta" simile a quelle degli Homo sapiens, poiché conserva una lunghezza molto simile. Tuttavia, è importante notare che, sebbene la lunghezza possa essere comparabile, i carichi masticatori erano verosimilmente inferiori rispetto a quelli di P. robustus e A. africanus, seppur superiori a quelli di H, sapiens

Sommario delle caratteristiche anatomiche di Homo floresiensis

  • Encefalo: Simile a quello di Homo sapiens non affetto da microcefalia, con un lobo frontale sviluppato legato alle capacità cognitive. Non tutti i tratti cerebrali sono simili a quelli della specie umana, ma più simili a quelli ipotetici di un ominino di piccole dimensioni.

  • Pelvi: Moderna e simile a quella di Homo erectus. In particolare, la pelvi di LB1 (il primo reperto trovato nella grotta di Liang Bua) potrebbe appartenere a un individuo maschile.

  • Arti superiori: Presentano un angolo di rotazione minore della testa dell'omero rispetto a quello dell'uomo moderno, ma più simile a quello di Homo erectus.

  • Polso: Le tre ossa del polso dell'olotipo indicano una condizione primitiva, tipica delle specie ominine africane.

  • Arti inferiori e piede: I piedi sono lunghi in rapporto agli arti inferiori, con proporzioni simili a quelli delle antropomorfe africane, risultando quindi relativamente arcaici. Il piede è piatto, non arcuato come quello dell'uomo moderno, indicando la bipedalità ma con una capacità di corsa simile a Homo habilis. Il metatarso è robusto come quello di Homo sapiens, e l'alluce è completamente addotto.

  • Mandibola: È relativamente più robusta rispetto a quella degli ominini moderni, come l'uomo o gli scimpanzé, e mostra somiglianze con quelle di Paranthropus robustus e Australopithecus africanus, specialmente per quanto riguarda la rigidità nella flessione trasversale e nella torsione. Non può essere classificata come una mandibola "ridotta" simile a quelle di Homo sapiens, poiché conserva una lunghezza molto simile. Tuttavia, è importante notare che, sebbene la lunghezza possa essere comparabile, i carichi masticatori erano verosimilmente inferiori rispetto a quelli di P. robustus e A. africanus, seppur superiori a quelli di H. sapiens.

Queste caratteristiche anatomiche forniscono un quadro complesso e intrigante della biologia di H. floresiensis, evidenziando tratti primitivi e moderni che lo distinguono da altre specie del genere Homo.

                                        Qui si vede bene la mandibola

Altre fonti: 1, 2, 3, 4, 5, 6, e  7


https://www.nature.com/articles/nature17663?fbclid=IwAR1B8i8Q5L_M17SZZEmJ6w2Kvz_v8pcucY22VwTbXPh9eGO6Hh6r59rM0sg





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